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GAZA TOURISTIC RESORT

Immagine del redattore: gil borzgil borz

L'ipotesi corre come un sottofondo da almeno due anni : trasformare la striscia di Gaza in un vasto sistema turistico mediterraneo.

Il Turismo come strumento di pace in una logica win-win tra due popoli e due stati.


Il clima è ottimo, il mare pulito, anche se non affascinante come il poco distante Mar Rosso. La striscia di Gaza ricostruita in forma di immenso Villaggio Vacanze potrebbe diventare la prossima mèta preferenziale per un turismo in cerca di tepore e comodità, un'alternativa mediterranea alle Canarie o alle coste spagnole, ideale per gli anziani europei che svernano al caldo.

Di un'ipotesi del genere si legge sotto traccia da diversi anni e molti progetti su carta sono già stati elaborati: un litorale lunghissimo, hotel frontemare pluristellati, una serie quasi infinita di residence, piste ciclabili, servizi sportivi e tanti locali di svago e di ritrovo.

Il capitalismo, va detto, trova sempre una soluzione alle situazioni complesse e anche in questo caso molti trarrebbero vantaggio e profitto: gli speculatori edili (il progetto piace molto a Trump), le organizzazioni umanitarie (che in una Gaza autosufficiente ed economicamente sana ridurrebbero al minimo il proprio intervento), il governo israeliano (che ridurrebbe i costi militari ma incrementerebbe i vantaggi economici) e, a quanto si dice, persino l'Autorità Nazionale Palestinese, che non vede l'ora che la pace regni sui territori potendo finalmente avviare il progetto dei due Stati.

Molto meno il progetto potrebbe piacere ai gruppi armati che per ora governano incontrastati nella striscia e nei dintorni, gruppi che perderebbero quegli ingentissimi finanziamenti fino ad oggi dirottati dal supporto alla popolazione a specifiche attività logistiche necessarie all'azione armata.

La questione, quindi, si svolge tra un'ipotesi di economia turistica sostenuta dalla speculazione immobiliare, in grado di produrre un'estesa occupazione di base (non manageriale, almeno in una prima fase) e il mantenimento di uno status quo in cui la popolazione residente risulta perennemente minacciata e sconfitta, in una fase di costante necessità e bisogno.

Al progetto turistico sembra interessata anche l'Arabia Saudita, che potrebbe proporre alcune delle più recenti innovazioni tecnologiche in materia di energia fotovoltaica, nonché la Cina che da tempo auspica una soluzione palestinese che le consenta di utilizzare il nuovo Stato come terminale della Via della Seta e testa di ponte verso il continente europeo.

Altri piani occidentali, di cui ha scritto recentemente Ugo Tramballi su Il Sole 24 Ore, parlano della costruzione di un nuovissimo Porto galleggiante e di un Aeroporto dedicato, elementi che favorirebbero il progetto turistico, oltre alla nascita di un nuovo, ampio complesso Universitario dedicato ai giovani palestinesi.

Il Turismo come elemento di pacificazione, come strategia win-win che soddisfi tutte le parti in causa.

Speriamo bene.



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