Una delle città più cementificate e mal gestite diviene Capitale della Cultura.
E in più si pubblicizza con uno spot terrificante.
Ho vissuto per otto anni in Sicilia, nel Palermitano, frequentando molto spesso, per lavoro, l'agrigentino. Raramente mi sono imbattuto in una città più impattante di Agrigento. Impattante per i suoi orrori di cemento che incombono sulla Valle dei Templi (in sé gradevole e culturalmente significativa), impattante per la sua trascuratezza urbana, lo scarso decoro, la notevole poca pulizia.
L'idea di nominarla Capitale della Cultura reca offesa alle città che lo sono state in precedenza, ad esempio Matera, e a quelle che potrebbero aspirare ad esserlo, ad esempio Noto o Siracusa se vogliamo rimanere in Sicilia.
Stendo un velo pietoso sulla qualità media dell'offerta complessiva alberghiera e ricettiva: a una certa età prendersela troppo può essere pericoloso per la salute.
Ma il Clou della balengheria si raggiunge quando capita di vedere lo spot pubblicitario che passa in TV, dove statue marmoree abbracciano potenziali visitatori, strizzando l'occhio all'inclusione e all'emancipazione, generando un effetto di sbalordimento non dissimile da quello che provammo vedendo l'Afrodite turista lanciata dalla Ministra sotto processo che non si garba, ahimè, di recedere dalla poltrona su cui si è insediata con un tocco, abbondante, di Coccoina.
E noi paghiamo, si intende.
Paghiamo per essere spernacchiati da mezzo mondo.
Poi la chiamano Cultura ...

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