Se il mondo viene ridotto a "prodotto da scaffale" allora il Turismo è la più deleteria affermazione del consumismo
Il Consumismo imperante, figlio prediletto del liberismo economico, ha tradotto ogni cosa in merce: persino il lavoro è merce e merce sono i lavoratori, così come le relazioni umane sono state ridotte a beni di consumo, episodici, variabili, temporanei, consumabili in termini di relazione pura, senza implicazioni sentimentali o, a maggior ragione, responsabilizzanti.
In questa a-morale proiezione dell'economia in ogni ambito dell'umanità uno dei fenomeni un tempo più sofisticati e evoluti dell'intelligenza, quel Turismo che esplorava identità, culture, ambienti, superstizioni e forme sociali differenti, è stato vilipeso, ridotto a prodotto da scaffale, come i pomodori pelati e le olive denocciolate, trasformato in mero prodotto di consumo, a cui sono state tolte le implicazioni identitarie, culturali, ambientali, etniche e sociali.
Si viaggia come si guarda un film: scorrono le immagini, si sorride, ci si emoziona, si finisce e si può raccontare di averlo visto.
Se questo è il Turismo, nella sua versione commerciale, massificata e da catalogo, in cui tutto viene compresso, omologato, assimilato, allora è tempo che si cerchino forme nuove e diverse di economia e di politica, ovvero i modelli che definiscono la forma e la sostanza dei rivoli economici discendenti.
E' tempo di ripensare il Turismo nella sua primaria identità antropologica, culturale e sociale perché altrimenti, a breve, non sussisteranno più quelle differenze e quelle identità originarie che attribuivano valore al concetto stesso di Turismo.

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